IL VESTITO BIANCO A FIORI ROSSI

È stato appeso in fondo all'armadio e nascosto  per mesi in una valigia, ogni tanto lo ritrovavo e lo guardavo senza più indossarlo. Aveva troppo da raccontare.
In realtà è un vestito semplicissimo tagliato come una camicia bianco con dei grandi fiori rossi (in realtà  ce l'ho anche nero, e per equità non indosso neanche quello) comprato a poco prezzo in un negozio  di una famosa catena; però a me piace: mette allegria perché  sa si primavera e rinascita. Sarà proprio  per questo che ho scelto  di indossarlo in quello che è stato uno dei giorni più felici della mia vita, quello in cui sei uscito dall'ospedale dopo il trapianto: per quello che doveva essere il nostro nuovo inizio.
Credo che nessuno che non l'abbia vissuto possa capire cosa hanno significato quei 40 giorni per te: trovarti chiuso in una stanzetta asettica di pochi metri, senza contatti umani se non con il personale dell'ospedale, con l'aria rarefatta per proteggerti dalle infezioni, senza poter aver nulla da fuori che non fosse accuratamente disinfettabile e senza nemmeno una finestra, se non quel grande vetro che ti separava dal corridoio dei visitatori. Eri come un piccolo pesciolino solitario chiuso in un acquario troppo piccolo e spoglio.
Anche essere fuori non era più facile, ci passavo  le ore in quel corridoio su uno sgabello scomodo quando lo trovavo a cercare di farti sorridere parlandoti da quel citofono; per non fare visite troppo lunghe che ti avrebbero stancato venivo in ospedale due volte al giorno ogni giorno: prendevo il pullman due volte andata e ritorno, 40 minuti di tempo per fare da casa all'ospedale quando andava bene; poi c'erano quei giorni  in cui stavi malissimo e non riuscivi a parlare o a tenere gli occhi aperti, una volta non mi hai nemmeno voluta, e io stavo lì  impotente e preoccupata: sempre dietro il vetro, con te a due passi  che avevi bisogno  della mia mano e del mio abbraccio, e io che non potevo raggiungerti.
Così ogni  piccolo passo diventava una vittoria enorme, abbiamo festeggiato i neutrofili che salivano e che  prima non sapevamo nemmeno esistessero. Fino a quel giorno in cui finalmente ti avrebbero rimandato a casa e avremmo potuto riabbracciarti, una felicità  così  assoluta credo di non averla mai provata: giravo con il mio vestito con i fiori e un sorriso così rilassato che me lo leggevano in faccia tutti, anche al bar senza saperlo avevano notato il mio cambiamento. Quando hanno aperto la porta ero come paralizzata, con il cuore a centomila, poi ci siamo abbracciati ed era come se mai fossimo stati divisi.
Purtroppo quella gioia e quella speranza di rinascita sono durate poco, già dopo un paio di giorni è iniziato a precipitare tutto: allora ero arrabbiata  con me stessa per quell'illusione, e ho chiuso quel vestito nell'armadio per non ricordare, sino ad oggi quando ho deciso di indossarlo anche se fa troppo vento ed avevo freddo.
Il vestito era lui, ma il sorriso no: quello credo sia tuo per sempre.

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