VORREI PORTARTI AL MARE, ANZI PORTARTI IL MARE
Il MARE era una di quelle promesse che ti facevo ogni giorno per darti la forza di lottare: "appena fuori di qui, ti ci riporto io a pescare e stavolta pesco con te" e anche i dottori te lo dicevano: "dai Enrico, che ti ci rimandiamo a pescare" sempre con i libri e i giornali di pesca sul comodino, lo sfondo del pc con uno dei pesci che avevi pescato e la foto contatto sempre immerso nell'azzurro con la tua muta.
Li vedevo i tuoi occhi mentre ti riguardavi nei video immerso nell'azzurro più assoluto, erano gli occhi della nostalgia per una parte di te che sentivi perduta, ma anche gli occhi della speranza e della determinazione. E quando li guardavo mi sentivo i meccanismi che si spezzavano dentro: l'impotenza, il senso di colpa per tutte le volte che ti ho rimproverato perché hai fatto tardi, per quando ero gelosa del tempo che passavi sott'acqua, per quando mi raccontavi e non ascoltavo, per tutte le volte che avrei potuto prendere una canna in mano e starti vicino al posto di lamentarmi e liberarti i pesci...
Lo avrei preso tra le braccia tutto il mare e te lo avrei portato lì dentro se avessi potuto, invece lo potevamo solo immaginare e sognare mentre i giorni diventavano mesi chiusi in quella stanzetta. Alla fine ho preso te e ti ci ho riportato tra le mie braccia, e li ti ho lasciato andare nelle tue onde e nella tua vera casa: ora il mare è tutto tuo, i pesci li puoi contare tutti e i fondali hanno tutti il tuo profilo. Ed è lì che ti ritrovo ogni volta che mi sembri troppo lontano...
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